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Palestina Post-Oslo

Di Maria Rosa Milanese

A due decenni dalla seconda intifada, e a trent’anni dagli accordi di Oslo l’evidenza delle conseguenze economiche e sociali in Palestina perdura tutt’oggi. 

Introduzione

Gli accordi di Oslo, firmati nel 1993 tra l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e il Governo israeliano, hanno portato alla conclusione della prima Intifada, un periodo di proteste e scontri che si estese dal 1987 al 1993. La prima Intifada iniziò come un movimento di protesta popolare contro l’occupazione israeliana dei territori palestinesi, con la speranza di ottenere un miglioramento delle condizioni di vita e l’indipendenza.

Nonostante le speranze suscitate dalla firma degli accordi di Oslo, la situazione in Palestina non ha registrato miglioramenti significativi per la società palestinese nei territori occupati. Nel 2000, la passeggiata di Ariel Sharon ha rappresentato un momento chiave che ha scatenato una nuova ondata di violenza, nota come la seconda Intifada, caratterizzata da un’escalation di conflitti armati e violenze che perdurò fino al 2005. 

Almeno 4.973 palestinesi morirono nel corso della seconda Intifada. Tra loro c’erano 1.262 bambini, 274 donne e 32 membri del personale medico, secondo il Centro palestinese per i diritti umani. Più di 10.000 bambini sono stati feriti durante i cinque anni dell’Intifada, secondo Defence for Children International, un’organizzazione indipendente con sede in Svizzera che si occupa di promuovere e proteggere i diritti dei bambini.

Oltre ai morti e ai feriti, l’esercito israeliano ha demolito più di 5.000 case palestinesi e ne ha danneggiate altre 6.500 in modo irreparabile, secondo il Centro palestinese per i diritti umani.

È evidente come la seconda Intifada ebbe profonde conseguenze umane e sociali, approfondendo ulteriormente il divario tra le due comunità e complicando ulteriormente la ricerca di una soluzione pacifica al conflitto.

Alcuni dati e numeri sulle conseguenze economiche e sociali 

A due decenni dalla seconda intifada, la complessa matrice di controlli vita quotidiana e sull’economia palestinese, è ancora in gran parte in atto. 

Dopo la firma degli Accordi di Oslo, l’economia palestinese ha attraversato tre principali cicli di espansione e restrizione economica, ciascuno con conseguenze significative. In un primo periodo, dal 1994 al 2000, c’era un ottimismo diffuso riguardo a una soluzione finale, e la nascente Autorità Nazionale Palestinese manteneva un bilancio equilibrato, con donazioni principalmente indirizzate a progetti di sviluppo. 

Successivamente, durante la seconda intifada, la Cisgiordania è stata soggetta a una stretta politica di chiusura israeliana, causando una contrazione economica del 32,8% e un aumento esponenziale della disoccupazione. La terza fase, dal 2007 a oggi, è caratterizzata da restrizioni israeliane e dipendenza dagli aiuti. I tassi di crescita economici limitati e un tasso di disoccupazione ancora elevato, rivelano un modello di crescita inesistente che non produce occupazione.

 Queste restrizioni costano all’economia interna palestinese almeno il 6% del PIL, impattando fortemente l’occupazione e i salari.

Gli accordi di Oslo furono inizialmente visti come una potenziale via per la pace e la stabilità in Medio Oriente. Tuttavia, l’evidenza mostra che non sono stati efficaci e persistenti. Le misure e violenze avvenute successivamente hanno avuto un impatto profondo e duraturo sulla regione, esacerbando le debolezze strutturali esistenti nell’economia e ostacolando lo sviluppo. 

Le rigide chiusure hanno soffocato la crescita, portando a persistenti deficit di bilancio, squilibri esterni cronici e tassi di disoccupazione e povertà allarmanti. Nel corso di due decenni, la Cisgiordania ha registrato una preoccupante tendenza alla crescita senza lavoro, con un tasso di disoccupazione che si aggira intorno al 18%. Molti palestinesi infatti, sono costretti ad incontrare opportunità di impiego all’interno di Israele o negli insediamenti, andando surrealmente ad alimentare l’economia dell’occupazione. Con un’occupazione quasi inesistente, i tassi di povertà sono impennati, soprattutto tra i più vulnerabili negli ultimi due decenni. 

Conclusioni: la Palestina post-Oslo

In conclusione le conseguenze sociali ed economiche degli accordi di Oslo e la successiva escalation di chiusure e restrizioni nel territorio dopo la seconda intifada hanno lasciato un segno indelebile nella regione. Le condizioni economiche soffocanti, la disoccupazione persistente e la povertà diffusa riflettono non solo l’impatto immediato delle misure restrittive, ma anche vulnerabilità strutturali profondamente radicate. Queste sono state esacerbate dalla prolungata occupazione e dalla completa mancanza di politiche economiche da parte dell’autorità nazionale palestinese. 

Il costo cumulativo di queste restrizioni è impressionante. È chiaro che sono necessarie misure globali per alleviare le sofferenze del popolo palestinese e ripristinare la prospettiva di un futuro sostenibile e prospero.

Il percorso verso la ripresa economica e il benessere sociale richiede anche una trasformazione olistica del panorama economico. La fine dell’occupazione e l’adozione di strategie di crescita inclusive sono passi essenziali per promuovere l’autosufficienza e ridurre la dipendenza. Inoltre, promuovere la cooperazione e il sostegno internazionale alla regione è fondamentale per creare un ambiente favorevole alla crescita, alla stabilità e alla pace. Imparando dal passato e impegnandosi per un futuro di sviluppo equo, a beneficio di tutti i suoi abitanti.