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La poesia come fonte d’identità di un popolo.

La resistenza di un popolo può essere evocata in molti modi diversi. Mentre la maggior parte delle persone potrebbe pensare a proteste, rivolte o boicottaggi come mezzi primari di rivolta e obiezione, non sono le uniche opzioni possibili. Né sono sempre materialmente fattibili considerando la stretta degli oppressori e la negazione dei più elementari diritti umani. 

Dalla Nakba del 1948, la resistenza in Palestina contro i coloni israeliani si è articolata in tutti i modi. Per tutto il tempo in cui i palestinesi hanno sperimentato il dolore intergenerazionale, la miseria, il caos, e la privazione dei diritti fondamentali, la sofferenza infinita è stata incanalata per alimentare un irritante bisogno di sfogo. È il catalizzatore dietro la forte volontà delle generazioni non solo di parlare, ma anche di mettere su carta ciò che provano.  

Nella prima metà del XX secolo, il termine letteratura di resistenza è emerso tra i poeti della Palestina occupata come risultato della loro testimonianza della necessità di un nuovo modo letterario per esprimere le questioni politiche e promuovere i cambiamenti.

La letteratura palestinese di resistenza diventa allora una contro-narrazione, grazie alla quale il popolo oppresso cerca di riaffermare la propria esistenza. 

Mahmud Darwish è il poeta e scrittore palestinese più noto a livello internazionale, anche se ancora poco conosciuto in Italia. È autore di 30 libri di poesia e otto di prosa che sono stati tradotti in più di 40 lingue, e vincitore del Premio per la Libertà Culturale, della Fondazione Lannan e del Premio Lenin per la Pace di Francia. Le sue opere degli anni ’60 e ’70 riflettono la sua opposizione all’occupazione della sua patria.

Fu arrestato più volte tra il 1961 e il 1967 per aver recitato poesie e aver viaggiato tra i villaggi della Palestina occupata “senza autorizzazione” da parte delle forze dello “stato ebraico”. La sua poesia “Carta d’identità”, che fu trasformata in una canzone di protesta, portò a un ordine di arresti domiciliari. 

Darwish riversa letteralmente il suo cuore e la sua anima nelle sue opere e trasforma il suo dolore per l’espropriazione della sua patria. La sua controversa storia d’amore con una donna ebrea ha solo acceso più passione e agitazione, rispecchiando la difficoltà di vivere e amare normalmente quando si è nati palestinesi.

Nelle sue poesie ritrae sentimenti come l’angoscia, il dolore e la sofferenza dovuta alle morti e alle espulsioni dalla creazione dello “Stato d’Israele”. Chiama la Palestina il “paradiso perduto” e “Terra dei messaggi divini rivelati all’umanità”, come poi descriverà nella Dichiarazione d’indipendenza della Palestina. 

Il suo lavoro rivela la relazione organica ininterrotta e inalterata tra il popolo palestinese, la sua terra e la sua storia. Il trauma di aver perso la sua casa da bambino e quindi di essere cresciuto in Israele come uno straniero nella sua stessa patria è stata la singola forza più influente nella sua vita, con l’effetto più profondo sulla sua personalità; tutta la sua poesia e gli altri scritti riflettono questa ferita.

La sua convinzione che la Palestina fosse la sua unica patria divenne più forte, e sapeva che era l’unica che avrebbe mai potuto avere. Ma la Palestina della sua infanzia e dei suoi ideali non c’era più. Quindi la sua lotta per la patria ideale si è proiettata costantemente nella sua poesia, ed è diventato un’icona nazionale essendo il poeta più eloquente nell’esprimere questi sentimenti. 

 LA NOSTRA PATRIA 

La nostra patria, 

vicino alla parola di Dio, 

ha un tetto di nuvole. 

La nostra patria, 

lontana dalle qualità del nome,

ha una mappa dell’assenza

La nostra patria, 

piccola come un seme di sesamo, 

ha un orizzonte celeste…e un abisso invisibile. 

La nostra patria,

povera come le ali del tetraone, 

ha libri sacri…e una ferità all’identità. 

La nostra patria, 

dalle colline distrutte e assediate, 

ha le imboscate del passato recente. 

La nostra patria, bottino di guerra, 

ha il diritto di morire consumata dal desiderio e in fiamme. 

La nostra patria, nella sua notte di sangue, 

è un gioiello che brilla lontano, lontano,

illumina all’infuori di sé…

ma noi, dentro di lei, 

soffochiamo sempre di più! 

Mahmoud Darwish e tutti i palestinesi rifiutano comprensibilmente la perdita della Palestina perché è così profondamente sentita come una perdita della loro comunità. Sentono che la Palestina dovrebbe continuare a vivere nei loro cuori e nei loro ricordi. Quindi, nella poesia di Darwish, l’amore per la Palestina è costantemente rafforzato dai ricordi del passato e dai continui richiami agli aspetti fisici della patria – le sue colline e pianure, il suo mare e le sue coste, i suoi alberi e uccelli, la sua gente e le sue tradizioni.  

Maria Rosa Milanese