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Sognando la Palestina: Un viaggio verso il “santuario delle fedi”

Sono seduta in auto, cintura di sicurezza ancora allacciata, mani sul volante, motore spento. Ho parcheggiato ma non scendo. Lo sportello è chiuso e ho tutto il tempo del mondo; posso attendere ancora qualche istante. Mi domando se poi riuscirò a ripartire, date le ruote quasi del tutto immerse nella sabbia. Non dovevo addentrarmi così tanto, sarà un incubo fare inversione. Questo pensiero mi sfiora per meno di tre secondi, un problema rimandabile, una preoccupazione da poco; in fondo è una questione che mi pongo da anni ogni volta che parcheggio in spiaggia, e ogni volta un modo per uscirne lo trovo. Perciò indugio in difficoltà puramente tecniche, quanto basta per confermare a me stessa un’incapacità di vivere il presente e lasciare al futuro ciò che concerne il futuro. Ma come ho detto, meno di tre secondi. Non apro ancora lo sportello. Mi sono lasciata dietro una fila ordinata di alberi, mi verrebbe da dire ginepri fenici, tipici della macchia mediterranea, ma non ne sono sicura. Sembrano formare una muraglia naturale a protezione del mare, splendente, vastissimo, ancestrale, sacro. Il blu è di fronte a me, a pochi metri di distanza, ma voglio soffermarmi qualche minuto a osservarlo attraverso il parabrezza. Il vetro è sporco; righe verticali rossastre lo opacizzano ogni volta che i venti dall’Africa fanno piovere sabbia. Piove sabbia, qui al Sud, sabbia dei deserti. 

Guardo il mare con quel filtro arancione e penso alle terre oltre l’orizzonte dell’Adriatico. Grecia, Turchia, Cipro, Siria, Libano, Israele, Palestina. La Palestina. La Peleshet ebraica, la Palaistine greca, la Filasṭīn araba, la “Terra Santa” tra l’antica Fenicia e l’Egitto. Penso a quella terra, penso che non è poi così lontana, non così diversa. Anche le sue spiagge, ora terre dello Stato di Israele, sono ricoperte dalla stessa nostra flora, le sue dune tenute salde da canne arenarie e ombreggiate da pini, fichi, ulivi. Anch’essa è bagnata dalle stesse nostre acque. E allora mi lascio trasportare dalla fantasia di un viaggio tra le onde di quel mare che da Brindisi, l’antica porta d’Oriente, mi conduce sulle sponde della Mezzaluna Fertile. Come Enea da Troia in fiamme verso la penisola italica, le mie peregrinazioni immaginarie mi portano a pochi chilometri da Gerusalemme. 

Una fantasia che si alimenta più mi abbandono ad essa ogni qual volta lo Scirocco dal Sahara tinge il cielo di rosso e il mare di un blu più intenso. Chiudo gli occhi e mi abbandono completamente alla mia immaginazione galoppante: non sono più in auto, sono sulla strada per raggiungere il Monte del Tempio nella città vecchia di Gerusalemme, la “sacra spianata” che per migliaia di anni è stata venerata dai fedeli delle tre religioni abramitiche. Un luogo talmente evocativo e pregno di storia che altro non desidero che vederne le bellezze, la sua architettura, la sua arte, con i miei stessi occhi. Eppure col cuore sono lì, nell’Al-Ḥaram al-Šarīf. Sono arrivata. Il terzo luogo più sacro della fede islamica dopo la Kaʿba, al centro della Mecca, e al-Masjid al-Nabawi, la moschea del Profeta a Medina. 

Conosciuto in italiano come “spianata delle moschee”, il santuario sorge sul “Monte del Tempio” nella città vecchia di Gerusalemme. Al-Ḥaram al-Šarīf include numerosi edifici religiosi, due dei quali assai importanti mete spirituali di pellegrini provenienti da tutto il mondo: la moschea al-Aqsa e la Cupola della Roccia. Nonostante la presenza di alcuni dei siti più sacri dell’Islam, al-Ḥaram al-Šarīf, “il nobile Santuario”, è un luogo di culto sacro non esclusivamente per i credenti musulmani, ma rappresenta uno dei siti religiosi più contesi al mondo, un complesso archeologico di profondo valore e rilevanza per i devoti fedeli appartenenti a Ebraismo, Cristianesimo e Islam. Immagino di trovarmi a pochi metri dalla Cupola della Roccia, soffermandomi su ciò che ho imparato su di essa attraverso gli scritti di accademici come Oleg Grabar e Gülru Necipoğlu: l’importanza religiosa del terreno dove fu costruita, i primi lavori commissionati dal Califfato Omayyade per ordine di Abd al-Malik, le iscrizioni esterne contenenti le più antiche proclamazioni epigrafiche dell’Islam, i numerosissimi restauri ai quali fu sottoposta durante il periodo ottomano, la storia della Roccia al suo interno. Immagino di addentrarmi nel santuario e di sfiorare quella Roccia che per Ebrei, Cristiani, Musulmani fu dove Dio creò Adamo, dove Abramo tentò di sacrificare Isacco, dove Maometto ascese i sette cieli. È un sogno talmente entusiasmante.

Apro gli occhi, sono ancora in auto. Do un ultimo sguardo al mare, infilo le chiavi e riparto per casa. Sto sorridendo: prima o poi partirò per davvero, prima o poi, verso la Palestina.