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Limitazioni e invisibilità: lo shadow banning

I Social Network hanno cambiato visceralmente il modo in cui le persone si informano. Instagram, in particolare, ha raggiunto una copertura senza eguali: nel 2022 ha registrato più di un miliardo di utenti attivi in tutto il mondo. Questo vuol dire che almeno una persona su cinque posta, esplora, visita, naviga quotidianamente all’interno di questo social dalle molteplici funzioni. Basti pensare alle nostre abitudini giornaliere: quanto tempo passiamo di fronte allo schermo del telefono, scrollando i contenuti, spulciando le vite o i racconti altrui? Se la risposta è più di un’ora al giorno, possiamo definirci fedeli utenti

Ciò che attrae l’utente all’utilizzo del canale è principalmente il format utilizzato: intuitivo, semplice e diretto, così da richiamare l’attenzione grazie alla chiarezza delle varie funzioni. Le potenzialità di Instagram sono innumerevoli, e di conseguenza inizialmente ci si chiese come sfruttare al meglio la sua diffusione. In risposta, non si condivisero più solamente contenuti personali, ma si iniziarono a generare account con una precisa intenzione: informare. Testate giornalistiche, agenzie d’informazione, personaggi pubblici o account senza una precisa nomea hanno trovato sempre più spazio per contenuti informativi e hanno riscosso sempre più successo. Si è iniziato a “pensare più social”. I giornali hanno implementato nel loro lavoro una vasta area dedicata al materiale da postare sul canale, creando piani editoriali specifici. 

La diffusione delle notizie su Instagram ci mette di fronte ad avvenimenti live, pressoché in concomitanza con il fatto stesso, attraverso un format di video o foto accompagnate da una breve descrizione sotto il post. Gli utenti sono maggiormente richiamati dal contenuto multimediale rispetto alle lunghe didascalie di spiegazione perché il video o la foto risulta essere più di effetto. Insomma, Instagram si rivela un formato che funziona alla perfezione per tutti coloro che si sentono di condividere. 

Fino a qui è tutto regolare. Parliamo di un social dove qualsiasi utente iscritto può condividere, con minime restrizioni, ciò che vuole. Dov’è la falla nel sistema? Il problema nasce nel momento in cui account che condividono regolarmente post o storie vengono oscurati dall’algoritmo a causa dei contenuti che diffondono. Instagram sceglie di moderare i post e gli account e lo fa attraverso il fenomeno dello shadow banning. Il profilo o i post “bannati” sono resi essenzialmente invisibili; come definisce il New York Times, “con lo shadow ban è come essere algoritmicamente spenti”. Per quanto il social possa prevedere poche limitazioni, se Instagram riconosce come inappropriato il contenuto diffuso all’interno di un account può scegliere deliberatamente di oscurarne la visibilità.

Il social dichiara ufficialmente di non supportare account che mostrano un nudo, violenza o incitazioni alla violenza, account che promuovono un modo scorretto per mangiare… Tutto questo senza rendere partecipe la vittima dello shadow ban. 

È il caso di Bella Hadid, modella di origini palestinesi, che ha confessato di essere stata vittima dello shadow ban per aver postato il video di un ufficiale israeliano mentre aggredisce un anziano palestinese. La modella afferma che, nel momento in cui condivide contenuti sulla Palestina, il suo account viene ripetutamente reso invisibile per più di un milione di followers. Ma non è la prima volta che Hadid denuncia un simile avvenimento: dichiara infatti che Instagram le avesse già rimosso un post che mostrava il passaporto del padre di origini palestinesi. Un campanello d’allarme, già in passato, che non ha fatto altro che intensificare il pericolo. Altre voci si uniscono a quella di Bella Hadid: lo scrittore Sheikh Omar Suleiman si definisce inorridito nell’essere stato oscurato da Instagram dopo aver pubblicato un video in cui mostrava Al Aqsa sotto attacco. 

Esistono account però che hanno come obiettivo il mostrare, attraverso Instagram, scene di violenza che accadono nel mondo: citiamo @eyes.ohttps://www.instagram.com/eyes_on_palestine_1/n.palestine , un reportage puntuale e continuo degli orrori della questione israelo-palestinese. L’account non lascia spazio a fraintendimenti: chi lo gestisce ha il chiaro obiettivo di far echeggiare e amplificare la risonanza del conflitto in atto attraverso contenuti crudi, violenti, veri. Chi osserva il video si trova di fronte a prove inconfutabili di violenza, a testimonianze di soprusi che i media non possono mostrare. 

Come possiamo informare i cittadini se i canali social impossibilitano la diffusione di consapevolezza? Non è Instagram un canale che cerca di farsi portavoce di ogni realtà? Se sì, perché quelle più crudeli non possono essere note ad occhi esterni? 

Annachiara Magenta