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Campi profughi: da rifugi temporanei a insediamenti stabili

L’espressione “campo profughi” fa riferimento ad un insediamento temporaneo in cui possono trovare ospitalità coloro che sono costretti ad abbandonare le proprie abitazioni e le proprie terre, divenute luoghi non più sicuri per l’incolumità delle persone che vi vivevano a seguito di eventi quali lo scoppio di guerre, i disastri climatici, le persecuzioni politiche o razziali. 

Tenendo in considerazione la varietà delle gravi circostanze che possono portare, in modo istantaneo e imprevedibile, gli individui di qualunque nazione e area geografica a divenire profughi, è tristemente facile immaginare la numerosità dei campi profughi ad oggi presenti al mondo. Secondo l’ultimo rapporto pubblicato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati nel giugno del 2021, erano circa 79.5 milioni le persone “forzatamente dislocate a seguito di persecuzioni, conflitti, violenze, violazioni dei diritti umani, o altri eventi gravemente preoccupanti per l’ordine pubblico” alla fine del 2019. 

La distribuzione dei campi profughi

Una stima esatta del numero di campi esistenti è pressoché impossibile. Alcuni insediamenti hanno assunto nel tempo la dimensione e, in parte, l’organizzazione di grandi centri urbani. Ma altri rimangono realtà limitate e informali e, dunque, di difficile individuazione.

I campi profughi sono insediamenti creati per ospitare coloro che hanno perso tanto le loro abitazioni quanto i loro mezzi di sussistenza come risultato della guerra arabo israeliana del 1948. Ad oggi, quelli ufficiali sono 59; dieci si trovano in Giordania, dodici in Libano, dieci in Siria, diciannove in Cisgiordania e otto nella Striscia di Gaza. Vi sono poi da considerare i campi non del tutto ufficiali, presenti in particolar modo in Siria, organizzati e gestiti attraverso modalità informali. 

La temporaneità

I numeri sopracitati sembrano in contrasto con quella che dovrebbe essere la caratteristica principale dei campi profughi, ossia la temporaneità. Perché sono finalizzati a ospitare coloro che sono dovuti fuggire dalle proprie case, ma soltanto sino alla risoluzione degli eventi che hanno dato origine all’allontanamento. L’obiettivo dei campi profughi dovrebbe quindi essere di garantire ai rifugiati (termine qui inteso in senso ampio) un ambiente sicuro dove soggiornare in attesa che le circostanze permettano loro di far ritorno nel proprio luogo di provenienza. 

La realtà è tuttavia alquanto differente. Nella grande maggioranza dei casi la permanenza dura non mesi ma piuttosto anni, e, nel caso palestinese, coinvolge persino generazioni. Nati a partire dal 1948, i campi profughi palestinesi hanno ospitato nel corso dei decenni milioni di famiglie. Così lo status di profugo è divenuto un elemento ereditario. 
Questo ha naturalmente dato vita a numerose problematiche. Gli insediamenti, infatti, mancano delle strutture e dei sistemi organizzativi necessari al funzionamento e alla gestione di quelli che possono essere considerati veri e propri centri urbani. 

Le problematiche

I problemi principali sono di due tipi. Da una parte il sovrappopolamento e la scarsità delle risorse economiche comporta una mancanza nella fornitura dei servizi, talvolta anche essenziali. Dall’altra, la gestione dei campi è lasciata in gran parte nelle mani di organizzazioni non governative. Ne consegue una difficoltà nel garantire la sicurezza all’interno dei campi stessi. 
La mancanza di strutture idonee si traduce nell’impossibilità di assicurare standard di vita adeguati e in linea con quelli previsti dal diritto internazionale. Ciò a causa delle difficoltà nella fornitura di beni di prima necessità, come l’acqua corrente. Anche la mancanza di medicinali è un grande rischio, specialmente considerando il costante sovraffollamento e le condizioni igieniche non ottimali delle abitazioni. In molti casi, pur garantendo i servizi essenziali, mancano le infrastrutture preposte all’educazione scolastica, alla formazione lavorativa e agli altri elementi necessari alla vita comunitaria. Nel contesto palestinese, in cui l’essere un profugo non può essere considerata una condizione temporanea, queste mancanze rendono impossibile vivere una vita indipendente e dignitosa. 

La mancanza di una gestione

La causa principale di tali problematiche risiede nell’assenza di un’autorità governativa che sia in grado di gestire i campi profughi. Ciò è dovuto alla mancanza di capacità, ma ancor più alla mancanza di volontà, da parte dei paesi ospitanti, di svolgere le attività necessarie. Da un lato alcuni governi temono le ricadute internazionali che potrebbero derivare dall’interferenza nella gestione della situazione palestinese. Dall’altro non vogliono impegnarsi nella gestione dei campi, per evitare che quelli che dovrebbero essere insediamenti temporanei diventino, come poi di fatto avviene, situazioni permanenti. 

Tali considerazioni di carattere politico hanno ripercussioni reali e concrete sulla vita delle persone. Spesso i profughi, già sottoposti a eventi drammatici nella zona di provenienza, si trovano a dover affrontare nuove condizioni di instabilità e insicurezza. Da un punto di vista formale, all’interno dei campi profughi è in vigore la legge del paese ospitante. Nonostante ciò, l’amministrazione della giustizia non viene gestita in modo unitario; si utilizzano di fatto diversi meccanismi e sistemi che comprendono sia elementi di diritto internazionale che norme regionali, e persino usanze locali. Vengono istituite regole ad hoc per gestire la vita all’interno dei campi. Ma tali regole tendono solitamente a limitare la libertà di movimento e d’azione dei profughi. 

La UNRWA

Considerando le problematiche e la specificità della situazione palestinese, le Nazioni Unite hanno istituito un’agenzia finalizzata a garantire condizioni di vita dignitose ai profughi palestinesi. L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) è stata fondata nel gennaio 1949. Lo scopo iniziale era fornire i servizi essenziali alla popolazione palestinese colpita a seguito della guerra arabo israeliana del 1948. Dato il perdurare e l’aggravarsi della situazione palestinese, l’UNRWA, nata come agenzia temporanea, ha invece proseguito la sua missione fino ad oggi. L’Agenzia rappresenta tuttora l’unico ente delle Nazioni Unite da cui dipende la sussistenza dei campi profughi palestinesi. La sua funzione è quella di fornire beni e servizi essenziali, e di supportare la gestione di scuole e centri sanitari. Attualmente fanno riferimento all’Unwra 59 campi profughi, riconosciuti attraverso uno specifico accordo che deve essere concluso tra l’Agenzia e il governo ospitante. 

Nonostante il ruolo cruciale ad essa affidata, l’UNRWA non detiene un proprio bilancio fisso. È finanziata esclusivamente attraverso contributi volontari erogati da Stati, organizzazioni internazionali o privati. Collaborano alla gestione e al sostentamento dei campi palestinesi anche diverse organizzazioni non governative. Queste, sempre attraverso donazioni volontarie, riescono a sopperire alle carenze, mitigando così le sofferenze affrontate dalla popolazione.

Concludendo, è possibile affermare che il sostentamento e la qualità della vita della popolazione palestinese dipendono totalmente da contributi e azioni aventi carattere volontario.

La questione palestinese non si prospetta prossima alla risoluzione. È dunque fondamentale agire per garantire che i profughi palestinesi abbiano accesso ai beni e alle strutture idonee per vivere un’esistenza stabile e non emergenziale

È necessario adeguare le condizioni di vita di queste persone a quelle previste dalle norme sui diritti umani fondamentali, che per definizione appartengono all’uomo in quanto tale e non in quanto cittadino di un determinato stato. 

Giulia Malafarina