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Diventare padri dietro le sbarre

Il sistema giudiziario israeliano ha un tasso di condanna del 99% nei confronti dei palestinesi. Questo sistema, insieme alla frammentazione geografica dovuta dalla presenza delle colonie, dei check-point e del muro, ha un forte impatto sull’occupazione. Il 40% degli uomini, infatti, è stato imprigionato almeno una volta nell’arco della propria vita. Alcuni sono accusati di reati che non sono illegali per gli israeliani, come partecipare a una manifestazione, altri per aver deciso di imbracciare le armi. A questo si aggiunge la detenzione amministrativa, cioè un’incarcerazione preventiva senza processo e senza accuse.

L’accusa principale, che accumuna i prigionieri palestinesi, è di aver commesso atti sovversivi o di aver attentato alla sicurezza dello stato israeliano. Di conseguenza, a questi prigionieri politici vengono negati i diritti fondamentali, come il diritto alle visite coniugali, del quale, invece, godono i prigionieri israeliani. I familiari di primo grado sono autorizzati a visitare i prigionieri per 45 minuti e, ad eccezione dei bambini fino agli 8 anni, i contatti fisici sono impediti da una barriera di vetro. Tale divieto nega la possibilità dell’intimità e quindi di formare una famiglia all’esterno.

Inoltre, se si sospettano attività politiche all’interno del carcere, si annullano anche le visite e, quando il governo israeliano ha scoperto il contrabbando di sperma, ha punito i carcerati con condizioni detentive ancora più dure.

Il contrabbando di sperma

Dagli anni 2000 molti prigionieri palestinesi contrabbandano il loro sperma fuori dalle carceri israeliane affinché le loro mogli possano partorire attraverso la fecondazione in vitro.

Lo sperma arriva alla clinica nei modi più creativi: all’interno di contenitori di medicinali, barattoli di penne, involucri di caramelle, barrette di cioccolato e persino nella punta di un guanto di gomma dentro una poltiglia di datteri . Dopo di che, si congelano prima di utilizzarli per la fecondazione. Il momento più delicato è il percorso tra la prigione e la clinica, infatti ogni lieve alterazione della temperatura può compromettere la sopravvivenza dello sperma.

Secondo i dati del Razan Hospital di Nablus, punto di riferimento in Cisgiordania per i trattamenti di fecondazione in vitro, fino al 2021 sarebbero nati in questo modo almeno 100 bambini. Si offrono gratuitamente queti trattamenti alle donne che avranno più di quarant’anni alla data prevista del rilascio del marito. Anche le diverse fatwa sulla procedura sono state determinanti per incoraggiare l’accettazione all’interno della società palestinese.

Nel contesto della brutalità israeliana, un’impresa del genere è ancora più importante. Mentre il carcere esiste per rompere i legami sociali, indebolire la resistenza, cancellare le persone e ridurre la lotta a una sconfitta individuale, ogni nascita frutto del contrabbando di sperma è considerata una vittoria in termini di resistenza e continuità.

Il pensiero delle madri

Per le madri palestinesi che affrontano le conseguenze della detenzione dei loro mariti, un bambino può significare la resistenza, ma è anche simbolo dell’innegabilità della vita. Mentre per alcune la gravidanza assume un significato politico, per altre è semplicemente una scelta, un desiderio.

Mettendo da parte la retorica della resistenza, quello che le famiglie palestinesi sono costretta ad affrontare dovrebbe spingerci a riflettere sulla totale mancanza di rispetto dei diritti umani e politici dei palestinesi.

Marti B.